lunedì 3 settembre 2007

Tecnologie informatiche

Tecnologie informatiche e integrazione scolastica (Elaborato: Mattia Testa)
L’uso delle tecnologie informatiche è diventato ormai indispensabile. Il computer e altri ausili tecnologici sempre più si stanno affermando come un potente mezzo per rendere più efficace il processo di insegnamento/apprendimento; il mondo della multimedialità, infatti, può apportare notevoli vantaggi nel settore dell'istruzione scolastica.La multimedialità, nel caso di persone in situazione di handicap/svantaggio offre enormi possibilita' poiche' mette in contatto diversi canali, sensoriali e motori. I supporti informatici, dunque, sono degli ottimi mediatori dell’apprendimento di persone in situazione di handicap.Credo che le proposte delle scuole dovrebbero dare ampio spazio alla scelta delle tecnologie appropriate alle specifiche esigenze dello studente disabile, per meglio focalizzare l’investimento di risorse ed ottimizzare gli interventi. È fuori discussione, inoltre, che i mezzi multimediali siano delle risorse che favoriscano il processo educativo di maturazione e di crescita globale della persona disabile.Vorrei soffermarmi su alcuni aspetti psicologici positivi dell’uso delle Information Technologies e cioè del computer e di vari software nelle attività educative e didattiche: il computer non • mette ansia all’alunno, che interagisce con una macchina dalla quale non si sente giudicato;la forte attrattiva che il computer esercita sulle • giovani generazioni (colori, immagini in movimento, suoni accattivanti),• la possibilità di esprimere la propria creatività e di interagire, di sentirsi coinvolto attivamente;la dimensione della ricerca e della scoperta che • può dare internet o comunque l’ipertesto fatto di pagine da aprire scegliendo liberamente secondo a propria curiosità. Ci sono però dei rischi nell’uso delle IT. Innanzitutto le stesse tecnologie possono introdurre anche una serie di ostacoli che vanno opportunamente valutati prima di proporre un percorso didattico con questi strumenti. Possono sorgere ostacoli se le competenze logico cognitive dello studente sono inadeguate al compito richiesto, ma possono anche essere legati all'uso della strumentazione. Sarà compito dell’insegnante e della sua sapiente mediazione agevolare l’alunno nell’uso dei supporti multimediali e renderli ad esso accessibili. In tal senso l’insegnante gioca un ruolo fondamentale; esso si pone come “facilitatore” o “mediatore”, che mette l’allievo in una condizione di agio e lo motiva a lavorare e a migliorarsi.

Metoto Braille

Il Metodo Braille (Elaborato: Maria Agatina Di Primo)
La comunicazione scritta, necessaria a conservare e trasmettere le informazioni, è legata alla percezione visiva e per lungo tempo è stata inaccessibile ai non vedenti che non hanno, quindi, potuto avere accesso ad una vasta mole di informazioni.Tale impossibilità di leggere lo scritto è stata superata grazie al metodo Braille, che ha consentito anche ai non vedenti l’alfabetizzazione, l’istruzione e la diffusione della cultura.Louis Braille non inventò di sana pianta il sistema di scrittura e lettura ad uso dei ciechi ma ha modificato un progetto del capitano Charles Barbier, che consisteva in un sistema a punti studiato per essere conosciuto da pochi (dai suoi militari) e notturno in modo tale da poterlo utilizzare senza luce.Per cominciare Barbier lo aveva concepito come un insieme di 12 punti posti in orizzontale, con un casellino che poteva contenere 6 punti in alto e 6 in basso. Secondo Braille i punti previsti da Barbier erano troppi perchè il polpastrello potesse coprire tutto il casellino, quindi era necessario tatteggiare a lungo con conseguente perdita di tempo. Braille riuscì a ridurre il sistema a 6 punti disposti in verticale in modo da coprire con un solo movimento del polpastrello tutto il casellino che contiene una lettera. Il sistema Braille utilizza la scrittura in negativo, che si basa sulla tecnica dello sbalzo. La carta, che deve essere sufficientemente resistente e deformabile, viene incisa, non perforata, ma il polpastrello non percepisce l'incisione ma l'altorilievo che compare dall'altra parte del foglio. L'importanza del sistema Braille risiede nella sua universalità che permette al cieco di riconoscere tramite il codice dei casellini tutto ciò che il vedente legge o scrive in nero. Le difficoltà di utilizzarlo su vasta scala dipendono da alcuni fattori: non si presta a stabilire una comunicazione scorrevole ed efficace tra non vedente e vedente, tra il bambino e i suoi compagni o con l'insegnante; non consente di avere la stessa qualità dei testi che hanno gli altri, soprattutto per la difficoltà di traduzione dei testi scolastici che vengono rinnovati ogni due o tre anni con conseguenti notevoli ritardi di usufruizione da parte del non vedente.

domenica 2 settembre 2007

L.I.S. - Lingua Italiana dei Segni

L.I.S.: Lingua dei Segni italiana (Elaborato: Vincenzo Di Stefano)
Succede sempre più spesso di vedere in televisione, nei convegni, all'università un interprete che muovendo le mani traduce le parole in Lingua dei segni oppure dà la voce ad una persona sorda segnante.Quei rapidi movimenti delle mani, i segni, sono una vera e propria lingua, con una grammatica e una sintassi, sia pure diverse da quelle delle lingue vocali.Risalgono alla fine degli anni Cinquanta i primi studi in USA che dimostrarono, grazie alle ricerche di Williain Stokoe, che la Lingua dei segni americana (ASL) aveva le stesse caratteristiche linguistiche delle lingue vocali; mentre in Italia dobbiamo aspettare la fine degli anni Settanta con gli studi di Virginia Volterra sulla Lingua dei segni italiana (LIS).Analogamente a quanto avviene per le lingue vocali, ogni nazione ha una propria lingua dei segni, con ulteriori varietà regionali e addirittura con qualche differenza lessicale nell'ambito della stessa città, dovuta a quanto ancora sopravvive delle diversità linguistiche che ancora c'erano tra i vari istituti per sordi.Così abbiamo la LIS (Lingua dei segni italiana), l'ASL (America Sign language), il BSL (British Sign Language), la LSF (Langue des Signes Frangaise) e così via.E' stato fatto anche un tentativo di creare una lingua dei segni unica, così come avvenne con l'Esperanto, ma senza grande successo; attualmente la lingua dei segni più utilizzata in ambiti internazionali è l'American Sign Language.La fonte più antica sui sordi, che parlano muovendo le mani è un brano di Platone, ma le prime notizie storiche sull'utilizzazione dei segni nell'educazione dei bambini sordi risalgono al Seicento, quando Pedro Ponce de Leon viene chiamato da un nobile castigliano ad educare i suoi tre figli sordi.Celebri furono poi nel Settecento le dimostrazioni che l'abate l'Epée dell'Istituto Statale dei Sordomuti di Parigi faceva pubblicamente sull'efficacia del suo metodo educativo, utilizzando i segni per insegnare ai sordi anche il greco e il latino.Fino ad allora i grandi educatori dei sordi erano stati gelosi dei loro metodi d'insegnarnento.In Italia nel 1784 viene fondato a Roma, in Via Nomentana 56, il primo istituto per sordi.Questo istituto ancora oggi rappresenta un punto di riferimento per la comunità, poiché al suo interno ospita una scuola materna integrata, una scuola elementare speciale, il reparto di Neuropsicologia del Linguaggio e Sordità del CNR, il Gruppo S.I.L.I.S. che organizza corsi di LIS, l'associazione degli Scacchi e degli Anziani.Questo storico istituto dovrebbe diventare un Centro di risorse a livello nazionale, secondo il progetto del Ministero della Pubblica Istruzione, che ha l'obiettivo di non disperdere il grande patrimonio scientifico, culturale e didattico.Tra i grandi educatori italiani ricordiamo tra gli altri Giacomo Carbonieri, su cui sta per essere pubblicata una bellissima monografia ad opera di Renato Pigliacampo.Molte notizie preziose sulla storia e sull'educazione dei sordi sono state diffuse dalla mostra I segni come parole,che si è tenuta a Genova e a Roma nel 1998, organizzata dall'Istituto di Psicologia dei CNR, dall'Ente Nazionale Sordomuti e dall'Istituto Statale dei Sordomuti di Roma e in parte finanziata dal M.U.R.S.T..Film come Nel paese dei sordi, Marianna Ucria, Addio Mister Holland e il più famoso Figli di un Dio minore,insieme a libri come Vedo voci di Oliver Sachs e Il volo del gabbiano di Emanuelle Laborit hanno senz'altro contribuito ad avvicinare il grande pubblico alla Lingua dei segni dei sordi.Il Parlamento europeo ha addirittura votato una risoluzione con cui raccomanda agli Stati membri di inserire la Lingua dei segni in tutti i settori sociali, compresa la scuola.Ma già da tempo da parte di genitori, insegnanti, logopedisti, operatori c'è interesse per questa modalità comunicativa che indubbiamente rende più semplice, più veloce e soprattutto più completa la trasmissione delleconoscenze culturali.Non a caso molti di loro si iscrivono ai corsi di Lingua dei segni a pagamento.

sabato 1 settembre 2007

Metodo TADOMA

Il metodo TADOMA (Elaborato: Francesco Casaccio)
Tommy può parlare con il suo amico sordocieco perché Gianluca gli si è posto di fronte, ha appoggiato il proprio pollice sulle sue labbra e il resto della mano sulla guancia.Il metodo utilizzato da Tommy con Gianluca si chiama Tadoma ed è stato inventato da un'educatrice americana, Sophie Alcorn. I primi due soggetti a cui fu insegnato a comprendere il linguaggio verbale con l'aiuto del tatto si chiamavano Tad Chapman e Oma Simpson. Dall'unione dei nomi di questi due sordociechi nacque il termine con cui il metodo è oggi conosciuto: Tadoma. Il "chi" ed il "come" del TadomaChi può trarre beneficio dall'insegnamento del Tadoma? Soprattutto: chi può imparare ad usarlo? La risposta non è semplice. All'inizio, il sistema è stato messo a punto per bambini sordociechi, e quest'area della pluriminorazione appare ancora oggi quella in cui l'applicazione del metodo può offrire i maggiori vantaggi. In particolare, sono persone adatte per il Tadoma i bambini che possiedono, contemporaneamente, un residuo uditivo troppo limitato per poter sfruttare le protesi acustiche, ed un residuo visivo insufficiente per imparare a leggere il movimento delle labbra, il linguaggio gestuale o forme gestuali - alfabetiche come ad esempio la dattilologia (si veda più avanti). La comprensione del Tadoma, però, richiede anche una buona capacità di discriminazione tattile. La distinzione dei suoni e delle parole, infatti, si basa interamente sul riconoscimento di sottili differenze tattili, rilevate dalla mano che "ascolta". Una tale abilità discriminativa è solitamente presente solo in bambini che non sono colpiti da profondo ritardo mentale. Occorre quindi essere consapevoli del fatto che tale metodo può risultare di difficile apprendimento per bambini che presentano limiti intellettivi molto gravi.Nelle prime fasi dell'apprendimento del Tadoma, il bambino pone entrambe le mani sul viso di chi parla. Con l'acquisizione di una certa pratica, è di solito sufficiente usare una sola mano per "ascoltare" quanto dice l'interlocutore. Il pollice viene appoggiato leggermente alle labbra di chi parla o, al massimo, rimane a pochi millimetri di distanza. In questo modo, si trova in una posizione ideale per rilevare la posizione delle labbra, aspetto fondamentale soprattutto (ma non solamente) in vista del riconoscimento dei suoni vocalici. Il mignolo si appoggia alla mascella, per cogliere le vibrazioni trasmesse attraverso l'osso; le altre dita, infine, rimangono appoggiate sulle guance, rilevando varie importanti sensazioni tattili.Se si prova a posizionare su se stessi le mani in questo modo (per farlo occorre incrociare le braccia, portando la mano destra sulla metà sinistra del viso, e viceversa), si noterà che il palmo della mano si trova proprio di fronte alla bocca di chi parla, ed è quindi in grado di captare, con l'allenamento, quanta aria viene emessa, per quanto tempo (si confronti a titolo di esempio l'emissione prolungata della S con quella breve ed "esplosiva" della P), la temperatura dell'aria (che di solito è lievemente più calda quando vengono emessi suoni nasali come M o N), e così via. La somma delle informazioni così raccolte permette di riconoscere con un buon margine di sicurezza tutti i principali suoni utilizzati correntemente.Qualche conoscenza di base sulla fonetica della lingua italiana può facilitare il compito dell'insegnante o dell'educatore che voglia utilizzare questo metodo. Senza entrare nei dettagli, può essere sufficiente ricordare che una delle distinzioni più classiche tra i vari tipi di suoni divide quelli vocalici dai consonantici. Nei primi (vocalici), l'aria viene emessa dai polmoni, passa attraverso le corde vocali ed esce, senza incontrare ostruzioni, dalla bocca. E' principalmente la posizione della bocca, e delle labbra in particolare, che distingue i vari suoni vocalici tra loro.Una semplice prova pratica può chiarire questo punto. Pronunciando ad alta voce una parola ricca di vocali come "AIUOLE", oppure "AIUTANDOLE" e prolungando il suono delle vocali, ci si rende conto che la posizione della bocca, e delle labbra in particolare, cambia ed è caratteristica per ogni suono. Sono proprio queste diverse posizioni che il bambino impara a distinguere al tatto.Per quanto riguarda l'insegnamento dei suoni consonantici, le considerazioni sono parallele, benché il problema sia più complesso. In questo caso occorre tenere presente che l'emissione dell'aria viene interrotta o modulata attraverso i vari organi coinvolti nella fonazione, soprattutto la lingua, i denti e le labbra. Nei cosiddetti suoni "nasali", come suggerisce il termine stesso, l'aria viene emessa attraverso il naso. Anche a questo proposito si può eseguire una semplice prova: basta pronunciare MANO oppure NOME tenendo il naso chiuso con due dita, impedendo così all'aria di uscire normalmente. Si noterà come, in tali condizioni, questi suoni cambiano completamente. Un allenamento sufficientemente prolungato ed accurato permetterà al bambino di riconoscere anche le caratteristiche tattili distintive dei suoni consonantici.Il riconoscimento dei singoli suoni, tuttavia, è solo uno degli elementi che aiuta la comprensione del significato nel metodo Tadoma. Per chi ascolta, l'elemento che porta maggiore significato è, solitamente, la parola. Singoli suoni come P, T oppure U non significano praticamente niente: sono soltanto elementi fonetici isolati. Al contrario, parole come MAMMA, PAPPA o PASSEGGIO si riferiscono a situazioni o ad eventi con cui il bambino ha dimestichezza e che possiedono anche un valore emotivo riconoscibile. Questo aspetto dell'apprendimento è noto alla maggior parte degli insegnanti; infatti, nell'insegnamento della lettura, che, in fondo, ha molto in comune con l'insegnamento del Tadoma, si passa quasi sempre al più presto alla lettura di parole significative. In molti metodi di ispirazione "globale" si parte addirittura dal riconoscimento della parola intera, o meglio della sua forma complessiva.Tra gli elementi che facilitano l'identificazione complessiva di una parola vi è il numero ed il tipo di sillabe che la compongono. Basta pensare a parole come TU, CANE, BISCOTTO, GIOCATTOLO o ELICOTTERO. Il riconoscimento di ogni termine può venire facilitato dalla lunghezza della parola (in questo caso rispettivamente una, due, tre, quattro e cinque sillabe), oltre che dalle caratteristiche specifiche dei suoni che la formano.Tra gli altri elementi che possono rendere più chiaro il significato di una parola e quindi: il suo riconoscimento, vi è il contesto. Una parola isolata risulta spesso più difficile da comprendere (specialmente in condizioni - limite come quelle imposte dal Tadoma) rispetto alla stessa parola inserita in una frase di senso compiuto. Gli altri elementi verbali e non verbali contenuti nel messaggio possono spesso "riempire" il buco creato dalla mancata comprensione di un termine.Molti di noi possono avere sperimentato qualcosa di analogo ascoltando qualcuno che parla una lingua straniera di cui l'ascoltatore ha scarsa padronanza: una parola incontrata isolatamente può non suggerire assolutamente niente. Se però la stessa parola è inserita in una frase, o si trova ripetuta in più esempi, diventa relativamente più facile ricostruirne il significato.

Musicoterapia

Musicoterapia (Elaborato: Concetta Accarpio)
La musicoterapia è una disciplina di medicina alternativa che utilizza la musica (forma di comunicazione non-verbale) come strumento per intervenire sul disagio di persone malate o affette da handicap, agendo soprattutto a livello psicosomatico, essa contribuisce all’arricchimento delle abilità comunicative ed espressive e concorre insieme agli altri linguaggi allo sviluppo di tutte le forme di intelligenza (vedi H. Gardner). Sin dall'antichità si hanno notizie sull'utilizzo della musica per fini terapeutici, oggi le conoscenze in quest'ambito sono sicuramente maggiori e i musicoterapeuti sono ormai figure professionali con alle spalle un'ampia e approfondita preparazione. L’ elemento fondamentale è il rapporto che si stabilisce tra paziente e musicoterapeuta, dove il linguaggio per comunicare è dunque quello della "musica", dove per "musica" s'intende l'intero mondo del suono e cioè: suono e ritmo, suono e movimento, e infine vocalità. Il concetto di musicoterapia come tale si sviluppa solo all'inizio del secolo scorso e seppure non sia ancora annoverata tra le tecniche mediche riconosciute ufficialmente dalla medicina tradizionale, essa diviene un supporto importante ed utilizzata per svariate tipologie di malattie, prevalentemente di origine nervosa. . La musicoterapia è applicata in tre aree: educativo-preventiva, riabilitativa e psicologico-.psichiatrica e viene praticata secondo due diverse metodologie: ‘musicoterapia attiva o produttiva’, in cui il paziente stesso produce suoni tramite strumenti musicali semplici e ‘musicoterapia passiva o recettiva’ basata sull’ascolto di brani scelti dal terapeuta.
I principi base della pratica musicoterapeutica sono:• il paziente è assolutamente parte attiva della terapia; • la centralità del rapporto di fiducia e l'accettazione incondizionata rispetto al paziente; • l'adattamento e la personalizzazione della tecnica volta per volta; • scambio reciproco di proposte tra paziente e musicoterapeuta.
In Italia la musicoterapia, vista in passato come pratica alternativa, ha raggiunto un’indubbia professionalità suscitando l’interesse di terapisti, delle famiglie con soggetti portatori di handicap, ma anche la curiosità del cittadino comune. La musica aiuta gli individui malati o che si trovano in situazione di deficit ad esprimere e percepire le proprie emozioni, a mostrare o comunicare i propri sentimenti o stati d'animo attraverso il linguaggio non- verbale, a recuperare potenziare e sviluppare attitudini ed abilità, a favorire le capacità di socializzazione e di cooperazione, attraverso il lavorare in gruppi, il “creare” e il “fare” insieme e infine promuove la capacità di star bene insieme . La musicoterapia inoltre aiuta i bambini in situazione di handicap e in situazione di disagio, a sviluppare le loro abilità comunicative, espressive e creative, le loro competenze socio - relazionali e a riconoscere la “diversità” come valore arricchente per tutti.

Pragmatica della Comunicazione

Pragmatica della Comunicazione (Elaborato: Rosalba Castelli)
Presupposti teoriciLo studio della comunicazione umana può essere suddiviso in tre sottosettori:1. sintassi.2. semantica3. pragmaticaMentre il primo comprende tutte le problematiche legate alla codifica e decodifica dell’informazione, ai canali, alla ridondanza ed al rumore (problemi sintattici); mentre il secondo si occupa del significato della comunicazione per i comunicanti (problemi semantici), il terzo sottosettore, quello pragmatico, si occupa degli effetti della comunicazione sui parlanti, ovvero dell’influenza che questa esercita sul loro comportamento.Watzlawick e la scuola di Palo Alto si occupano di questo terzo aspetto della comunicazione: la pragmatica.Dire che la pragmatica studia gli effetti della comunicazione sul comportamento, rappresenta in un certo senso un’affermazione tautologica, poiché gli autori di Palo Alto considerano comunicazione e comportamento esattamente come sinonimi.Per la scuola di Palo Alto, la mente deve essere considerata alla stregua di una scatola nera: essa non può essere esplorata, e forse, anche potendo, non sarebbe necessario. Ecco che possiamo interpretare il comportamento umano esclusivamente grazie all’osservazione dei suoi effetti pragmatici, lasciando da parte ogni ipotesi intrapsichica (decisamente un presupposto comportamentista). Ovviamente nella comunicazione si apre la relazione, ovvero la relazione con l’altro è già implicita nella stessa esistenza umana. Ogni persona è “una”, “nessuna” e “centomila”, come insegna Pirandello. L’identità personale, quello che noi pensiamo di noi stessi e quello che pensiamo che gli altri pensino di noi, si mette assieme, pezzo dopo pezzo, in tutti gli scambi di parole e azioni che abbiamo con gli altri esseri umani. Mead, filosofo e psicologo d’inizio secolo, mise in parola chiave il processo di formazione del Sé e lo fece con argomenti che riconducono all’esperienza del gioco. Anche Watzlawick fa ricorso a questa analogia, per dipingere la relazione comunicativa proprio come un gioco, dove la posta è la definizione del sé.Importante sottolineare, che la relazione è un sistema dove i comportamenti sono circolari: non è possibile stabilire quale è la causa e quale l’effetto, cosa viene prima e cosa viene dopo. Ogni comportamento è, insieme, azione e risposta ad un altro comportamento. La circolarità mette fuori campo il dualismo causa-effetto che ha dato forma per secoli a tutti i discorsi della scienza. Il sistema delle persone-che-comunicano-con-altre-persone è sempre un universo a sé stante, governato da regole e processi propri. Quando le regole che tengono in vita il sistema fan “corto circuito”, la comunicazione si ammala e può essere guarita solo da chi, con un intervento esterno, può modificare le regole del gioco.Gli assiomi della comunicazione
La scuola di Palo Alto ha messo a punto i seguenti assiomi che costituiscono le linee guida della sua indagine e permettono di inquadrare il fenomeno comunicativo in maniera nuova e stimolante.1. In presenza non si può non comunicare.Il comportamento non ha un suo opposto: non possiamo non comportarci. In ogni caso, abbiamo sempre un comportamento. Se concordiamo nel definire come messaggio l’intero comportamento di una situazione di interazione, allora ne consegue che è impossibile non comunicare. Non possiamo sottrarci alla comunicazione.Una unità di comunicazione (comportamento compreso) è chiamata messaggio, una serie di messaggi scambiati fra persone è un’interazione. Le interazioni possono essere sussunte in modelli di interazione.2. In ogni comunicazione v’è un aspetto di contenuto e uno di relazione.Ogni comunicazione implica un impegno e perciò definisce la relazione. E’ un altro modo per dire che una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. Dentro un messaggio esiste quindi sia una componente di informazione (l’aspetto di notizia), sia una componente di comando.L’aspetto di notizia di un messaggio trasmette informazione ed è quindi sinonimo nella comunicazione umana del contenuto del messaggio. L’aspetto di comando si riferisce invece alla relazione tra i comunicanti. Esso non viene quasi mai negoziato apertamente. Sembra anzi che, quanto più una relazione è spontanea e sana, tanto più l’aspetto relazionale della comunicazione recede sullo sfondo. Il problema consiste allora nel definire la relazione che intercorre tra l’aspetto di comando e quello di notizia del messaggio. Watzlawick utilizza l’analogia del calcolatore: per operare, la macchina ha bisogno non solo di dati (informazione), ma anche di dati sui dati, ovvero di codice che dica alla macchina come trattare i dati (metainformazione). Portando l’analogia nel mondo della comunicazione umana, possiamo identificare l’aspetto di notizia del messaggio come comunicazione, e l’aspetto di comando come metacomunicazione.Quindi, ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è pertanto metacomunicazione.3. Ogni comunicazione può essere punteggiata diversamente dai soggetti.L’osservatore esterno considera una serie di comunicazioni come una sequenza ininterrotta di scambi. Tuttavia chi partecipa all’interazione, ed è quindi calato nella comunicazione, legge lo scambio e reagisce ad esso secondo quella che Bateson e Jackson hanno definito punteggiatura della sequenza di eventi (emblematico l’esempio dello sperimentatore e della cavia di laboratorio). In tale contesto non è influente discutere se la punteggiatura della sequenza di comunicazione è buona o cattiva (è evidente che essa organizza gli eventi comportamentali ed è quindi essenziale per l’interazione). Ciò che invece interessa è rilevare come spesso i conflitti relazionali siano semplicemente basati su una punteggiatura conflittuale della suddetta sequenza di scambi. Ogni parlante interpreta lo scambio in modo tale da vedere il proprio comportamento come causato dal comportamento dell’altro, e mai come causa della relazione dell’altro, e viceversa: in breve, ogni parlante accusa l’altro di essere la causa del proprio comportamento. E’ evidente che il problema della punteggiatura è risolvibile solo a livello di metacomunicazione, cioè ad un livello in cui si parla della relazione, e non dei contenuti degli scambi comunicativi.La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.4. In ogni comunicazione c’è un livello numerico e uno analogico.Nella comunicazione umana si hanno due possibilità di far riferimento agli oggetti: in modo analogico, attraverso una rappresentazione; in modo numerico, attraverso un’assegnazione simbolica. Come hanno osservato Bateson e Jackson, non c’è nulla di specificatamente simile ad un tavolo nella parola “tavolo”.Nella comunicazione analogica invece c’è qualcosa di specificatamente simile alla “cosa” rappresentata. Come possiamo facilmente riscontrare nell’esperienza, capire una lingua straniera ascoltandola alla radio risulta molto più difficile del capirla osservando un parlante: in quest’ultimo caso, possiamo inferire il significato delle parole attraverso l’uso sia del linguaggio dei segni che dei movimenti di intenzione che il parlante usa.Cos’è allora la comunicazione analogica? Praticamente è ogni comunicazione non verbale (intesa nel senso esteso proprio di Watzlawick, che quindi include posizioni del corpo, gesti, espressioni del viso, inflessioni della voce, sequenza e ritmo delle parole, il contesto in cui avviene la comunicazione).L’uomo è l’unico essere vivente ad usare sia il modulo analogico che quello numerico per comunicare con i suoi simili. Il linguaggio numerico serve a scambiare informazione sugli oggetti e a trasmettere la conoscenza nel tempo. Gli animali usano il modulo analogico per comunicare tra loro e con l’uomo, ma la natura della loro comunicazione, come dimostrato da Bateson, ha carattere relazionale e non assertivo: vale a dire che la comunicazione animale non è una comunicazione che fa asserzioni denotative sugli oggetti, ma è una comunicazione legata alla definizione della natura delle proprie relazioni con gli altri soggetti. Gli animali, quando parliamo loro, non capiscono il significato delle nostre frasi, ma al contrario capiscono benissimo la ricchezza analogica con cui comunichiamo loro queste frasi.Da queste considerazioni si ricava una importante nozione: ogni volta che la relazione è il problema dei comunicanti, il modulo numerico è privo di forza, ed in realtà risulta solo strumentale ad una lotta che ha come obiettivo ristabilire una regola, ovvero una definizione condivisa della relazione in crisi.Da sottolineare inoltre che, se in ogni comunicazione coesistono sia un aspetto di relazione che uno di contenuto, sembra logico aspettarsi che il modulo numerico sia quello più adatto a veicolare il contenuto, l’aspetto di notizia, mentre il modulo analogico sia quello più idoneo a veicolare la definizione della relazione, l’aspetto di comando della comunicazione. Questo a causa delle limitazioni fisiologiche incontrate dal modulo analogico nella comunicazione di concetti astratti, oppure nell’affrontare connettivi logici come la negazione, o l’esclusione, oppure ancora nella gestione della temporalità (mancando indicatori che consentano di distinguere tra presente, passato e futuro).L’uomo ha quindi la necessità di combinare i due moduli, compiendo continue traduzioni dall’uno all’altro: ecco che parlare sulla relazione è difficile, a causa dello sforzo di traduzione dal modulo analogico a quello numerico necessario a negoziare la relazione stessa (in sostanza, prima di parlare sulla relazione, è necessario che i parlanti portino per così dire in chiaro, e reciprocamente, i comportamenti dell’altro).Allora, gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha nessuna sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni.5. Le comunicazioni sono simmetriche o complementari.Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Nel primo caso, un parlante tende a rispecchiare il comportamento dell’altro, creando un’interazione simmetrica. Nel secondo caso, il comportamento di un parlante completa quello dell’altro e costituisce un tipo diverso di Gestalt comportamentale, creando un’interazione complementare. In quest’ultimo caso, un partner assume una posizione primaria, detta one-up, superiore; mentre l’altro partner completa per così dire la configurazione assumendo una posizione one-down, ovvero inferiore. Non dobbiamo tuttavia attribuire pregiudizi di valore come “buono” e “cattivo” o “forte” e “debole” alla precedente distinzione: l’assunzione di una posizione o l’altra potrebbe essere determinata semplicemente da contesti culturali o sociali (es. madre/figlio, medico/paziente, insegnante/allievo).

Mediatori didattici

I mediatori didattici (Elaborato: Francesca Cravotta)
La finalità della scuola dell'autonomia è far conseguire il successo formativo ad ogni alunno. Secondo l'impostazione scolastica tradizionale, l'insegnante doveva essere responsabile esclusivamente della propria disciplina, che gestiva restando chiuso e isolato nel suo sapere. Egli, inoltre, doveva essere immagine di autoritarismo, utilizzando l' ”arma” della valutazione come strumento per ottenere rispetto e come espressione del suo giudizio. La scuola dell'autonomia richiede oggi al docente di essere professionista, in quanto operatore socio- culturale, che svolge ruoli di mediazione culturale, di socializzazione, di promozione di processi (tra cui l'apprendimento), di valutazione, di orientamento. L’insegnante ricorre ai mediatori ed è egli stesso il primo mediatore didattico, sia attraverso la sua parola sia attraverso tutti i tratti caratterizzanti la sua comunicazione, anche quelli non verbali. Bruner fa notare come sia importante non solo il fatto che un insegnante conosca bene i contenuti della sua comunicazione, ma disponga anche di metodi efficaci, e allarga il campo dei ‘mediatori’ (oltre alla parola o ai mediatori ‘simbolici’ ci sono anche quelli ‘iconici’ e quelli ‘attivi’), ma ritiene che il linguaggio dell’educatore sia soprattutto caratterizzato dal personale rapporto che lega l’insegnante ai contenuti del suo insegnamento. Se un insegnante è appassionato, saprà probabilmente appassionare i suoi alunni, saprà comunicare loro il suo personale stupore. In ogni caso, un insegnante efficace ritiene di integrare la propria comunicazione proprio ricorrendo anche a mediatori diversi. L’importanza del ricorso a svariati mediatori è oggi rafforzata dalle teorie sulla pluralità delle intelligenze. Come è stato ampiamente dimostrato, in particolare dai lavori di H. Gardner, tutti noi disponiamo di numerose forme di intelligenza, che non sviluppiamo allo stesso modo. Nella scuola prevale la stimolazione dell’intelligenza verbale, ma sarebbe più produttivo per tutti, e per qualcuno particolarmente utile, se alla parola di affiancassero altre modalità, capaci di stimolare le diverse forme di intelligenze.L'insegnante, inoltre, deve essere in grado di attivare diversi canali di comunicazione, in modo da coinvolgere tutti gli alunni e da stimolarne la partecipazione al processo di apprendimento. A tale scopo la metodologia didattica deve comprendere il maggior numero possibile di tecniche, al fine di rendere vario, flessibile, ricco ed efficace l'insegnamento. L'impiego di strumenti tecnologici, ad esempio, consente di fare dell'allievo il protagonista del suo sapere; egli, in questo modo, secondo la modalità d'uso interattiva che caratterizza questo genere di strumenti, può scegliere liberamente il percorso a lui più consono. Inoltre è possibile con tali mezzi adeguarsi ai tempi utili per l'apprendimento di ciascuno, in quanto essi rendono possibile la ripetizione e quindi la chiarificazione dei concetti. Altro grande vantaggio di questi particolari tipi di strumenti è la possibilità di autovalutazione da parte dell'utente, che viene corretto in maniera “indolore”, imparando dagli errori. Essi non sono vissuti come motivo di mortificazione o di abbattimento psicologico, ma come occasione di riflessione al fine di comprenderne la causa e di evitarne la ripetizione. L'aspetto ludico – motivazionale connesso a questo utilizzo è anche da rilevare. L'alunno, infatti, vive la prova come sfida e, in caso di insuccesso, è spinto a rivedere i contenuti per migliorare il risultato. L'uso dell'ipertesto, infine, come strategia di apprendimento, è anche particolarmente utile durante le lezioni, perché consente l'apprendimento cooperativo da parte degli alunni, il tutoring, i lavori di gruppo; permette inoltre di collegare e consolidare le conoscenze, oltre che di aumentare la motivazione. Un'altra tecnica utile per l'insegnamento è il problem solving: il contenuto viene proposto sotto forma di problematizzazione , affinché diventi motivo di riflessione e di conquista autonoma da parte dell'alunno. Oltre alla conoscenza di differenti tecniche utili all'insegnamento, occorre che il docente sappia variarne anche, a seconda delle situazioni, gli stili, scegliendo di volta in volta diversi mediatori: attivi (attraverso visite guidate, esplorazione su campo), simbolici (con l'uso e la manipolazione del linguaggio), iconici (da impiegare soprattutto nel metodo di studio, per stimolare l'analisi degli oggetti visualizzati), analogici (come i giochi di simulazione), tecnologici (che racchiudono in sé tutti gli altri tipi di mediatori). Considerando il fatto che attualmente il sapere non è più contenibile e che quindi il docente non può esserne detentore, occorre fornire ai ragazzi metodi di fruizione culturale e strumenti che li rendano autonomi nella ricerca e nell'acquisizione di nuove conoscenze. L'insegnante deve mettere il suo sapere a disposizione dell'allievo, perché diventi punto di partenza per un ulteriore arricchimento culturale e autonomo da parte dello studente. Anche in questo caso è particolarmente utile la multimedialità, per esempio insegnando come si fa una ricerca utilizzando i motori di iricerca. Per rendere efficace il proprio metodo di insegnamento occorre che il docente si metta continuamente in discussione, riflettendo sui propri stili di insegnamento (metadidattica), chiedendosi il perché di eventuali insuccessi scolastici, del disinteresse o della scarsa partecipazione degli alunni; deve sapersi autovalutare, osservando continuamente gli effetti e le reazioni dei ragazzi al proprio metodo di insegnamento. Il nuovo docente deve entrare nel mondo degli adolescenti, analizzando e comprendendo le loro problematiche e le loro caratteristiche, attraverso un ascolto attivo.


Il ruolo dell'insegnante di sostegno (Elaborato Vincenzo Di Stefano)
Continuando il discorso di Francesca sui mediatori didattici, vorrei sottolineare ancora una volta la delicatezza e l'importanza del ruolo dell'insegnante e soprattutto dell'insegnante di sostegno che deve essere in grado di conoscere in maniera globale l'alunno e la sua situazione e le sue difficoltà e intervenire come fa il chirurgo con il bisturi, quindi un intervento preciso e nello stesso tempo delicato. Il primo mediatore è quindi l'insegnante che deve utilizzare tutta la sua professionalità per favorire l'apprendimento degli alunni. L'insegnante deve cercare inoltre di adattare i propri stili a quelli degli alunni per cercare di ottenere da loro il massimo risultato. Infine volevo dare rilievo al dialogo, che secondo me è fondamentale nel processo di insegnamento e apprendimento perchè permette un'apertura e una conoscenza che sarà utile per il successo del progetto di vita degli alunni.
L’insegnante come mediatore (Elaborato: Mattia Testa)
Feuerstein sostiene che la mediazione è la capacità di rendere accessibile attraverso una facilitazione un compito che altrimenti non potrebbe essere affrontato: questa facilitazione avviene attraverso la presenza di un mediatore.Il mediatore si interpone tra il soggetto e la realtà interpretandola e dando modo agli allievi di apprendere.L’insegnante mediatore offre agli allievi la possibilità di imparare a interpretare, organizzare e strutturare le informazioni provenienti dall’ambiente. Il mediatore non elimina le difficoltà ma propone difficoltà graduate, esplicita gli obiettivi, cerca di indurre autonomia negli apprendimenti stimolando il superamento degli ostacoli.Credo che ciò voglia significare che è proprio all’interno di una azione di mediazione che si può costruire, creare un contesto nel quale le persone e le loro idee si evolvono continuamente, si modificano, si incontrano, interagiscono. Il ruolo di mediatore del docente si interpone tra lo stimolo e la risposta. Si crea una relazione attraverso la quale il docente si pone in un ascolto continuo delle esigenze dell’allievo e stimola in lui l’attivazione di schemi elaborativi attraverso la quale poi orienta l’attività cognitiva dell’allievo determinando un cambiamento che porti ad un apprendimento costruttivo e non nozionistico.La funzione dell’insegnante di sostegno quale mediatore è dunque quella di garantire che tutte le informazioni che giungono al soggetto disabile diventino materiale di conoscenza e comprensione grazie all’attivazione in lui di schemi elaborativi di natura organizzativa ed interpretativa.Perciò l’insegnante di sostegno è chiamato a “tras-formare” il saper da insegnare affinché sia possibile apprenderlo. Strutture, concetti, contenuti vengono tradotti e rielaborati secondo il livello di sviluppo del discendente.Un buon mediatore crea un ambiente favorevole alla relazione “nell’ambito scolastico tra i mediatori più significativi ed incisivi sull’allievo sono proprio il clima e il tono educativi, creati dalla qualità dei rapporti interpersonali” (prof. Larocca).